L'isola al centro del mondo by Manlio Graziano

L'isola al centro del mondo by Manlio Graziano

autore:Manlio, Graziano [Graziano, Manlio]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Politica, Contemporanea
ISBN: 9788815339614
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2018-09-14T22:00:00+00:00


5. «Too big to fail»

Secondo Niall Ferguson, uno dei fattori decisivi della vittoria alleata nella Prima Guerra mondiale fu il fattore tempo: «Il tempo giocava dalla parte della Gran Bretagna, del suo impero, dei suoi alleati. Loro avevano le risorse più grandi»[21]. Ma di che risorse si parla? Il Regno Unito poteva sfruttare quelle provenienti dalle colonie, ma, come lo stesso Ferguson ha fatto notare, a quell’epoca l’impero coloniale costava già più di quanto rendesse. Poteva poi disporre delle risorse finanziarie che Londra era capace di centralizzare meglio di qualunque altra città al mondo, ma, alla fine della guerra, le sue spese militari (23 miliardi di dollari a prezzi 1913) risultarono essere superiori a quelle dei suoi tre maggiori alleati presi insieme, Francia, Russia e Italia (18 miliardi di dollari) e di poco inferiori a quelle degli imperi centrali (24,6)[22]; col risultato che il suo debito nazionale passò da 60 miliardi di sterline nel 1914 a 318 nel 1919 o, per dirla in percentuale sul Pib, dal 25,3% del 1914 al 135,2% del 1919[23]. Insomma, se la Gran Bretagna e i suoi alleati non avessero potuto contare sugli americani, il fattore tempo avrebbe giocato contro di loro come aveva giocato contro gli imperi centrali.

Gli Stati Uniti, invece, da quel conflitto ebbero la conferma della validità dell’«American Way of War»: più i combattimenti andavano avanti, e più gli americani si arricchivano. Tra il 1914 e il 1919, il prodotto interno lordo degli Stati Uniti passò da 598 miliardi di dollari a 750[24], e la loro macchina produttiva fu stimolata al massimo, senza essere soggetta alle distruzioni della guerra. Così, nel 1920, mentre gli Stati Uniti producevano il 22,2% in più del 1913, la produzione europea era diminuita del 22,7% (e quella russa dell’87,2%)[25]. Il tempo giocava a favore degli Stati Uniti, e non dei suoi alleati europei.

Da un altro punto di vista, però, giocava anche contro gli Stati Uniti. Secondo Adam Tooze, il neutralismo di Wilson non era «idealismo smidollato», ma un progetto mirante all’«umiliazione collettiva di tutte le potenze europee ai piedi degli Stati Uniti, usciti trionfanti come arbitri neutrali e fonte di una nuova forma di ordine internazionale»[26]. Nel 1916, gli alleati erano già indebitati con gli Stati Uniti per 2,3 miliardi di dollari (dell’epoca), corrispondenti a quasi il 5% del Pil americano, e avevano contribuito in maniera decisiva a far svettare il livello delle esportazioni americane a un astronomico 12% del Pil (il doppio rispetto all’anteguerra)[27], esportazioni ormai pagate in dollari anziché in sterline. Nell’autunno 1916, il cancelliere dello scacchiere britannico espresse il timore che «entro giugno prossimo, o anche prima, il presidente degli Stati Uniti sarà in grado, se vuole, di dettarci le sue condizioni»[28]. Ma questo significava anche che la tenuta dell’economia americana dipendeva sempre più dalla vittoria degli alleati: solo se si fossero imposti nel conflitto i loro debiti sarebbero stati solvibili. Detto in altri termini, «la dipendenza di Gran Bretagna e Francia dagli Stati Uniti era diventata – per prendere in prestito una formula dal futuro – too big to fail»[29], troppo grande per essere lasciata cadere.



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